Indirizzo |
Corso Garibaldi, 4 |
Sede |
Galleria 8,75 Artecontemporanea |
Citta |
Reggio Emilia |
A cura di |
Beatrice Menozzi |
Tipologia |
Mostra personale |
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Fuori Campo - Luca Giacobbe |
Mostra personale - Da Sabato 24 marzo 2001 a Giovedi 12 aprile 2001
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Per Pitagora calce e mattone del mondo era il numero, per Talete l'acqua, per Democrito l'atomo, per Aristotele il sinolo, unione di materia e forma; la filosofia antica, senza calcoli scientifici nè matematiche sperimentazioni alle spalle, aveva colto, più di diecimila anni fa, una verità essenziale: l'incanto multiforme della vita scaturisce dal gioco di pochi elementi. Luca Giacobbe, giovane artista nativo di Venezia (1966) non si discosta dal carattere univoco di queste scelte, deputando alla creazione del suo universo pittorico colore e segno, null'altro. D'altronde anche la moderna genetica conferma l'assunto: non la molteplicità degli agenti caratterizza un organismo complesso, bensì la qualità delle combinazioni. Non è tutto: all'interno di questo sistema binario, colore e segno, Giacobbe opera un ulteriore sbarramento. Non ammette sulla superficie del quadro tutti i colori, ma una coppia, una terna, sovrapposti in strati grumosi che lasciano talora emergere le screpolature del fondo; l'uniformità dell'impasto cromatico non viene riscattato nemmeno dal segno che, con ostinata monotonia, insiste a definire traiettorie cieche, a voler aprire spiragli su un mondo cripticamente adombrato, mai risolto, svelato. Nere serpentine percorrono, sigillandoli, i confini della tela; buchi ugualmente neri galleggiano nel colore come monadi senza potere nè finestre; segmenti paralleli corrono lungo binari il cui approdo non è dato sapere. Calvino scriveva: "tra il peccato di puntare tutto su una fragile gioia e l'abisso della vanità del tutto c'è il punto di equilibrio perfetto, etico e poetico insieme che è lo stile". È questo il centro di gravità che sostiene pure il cosmo di Luca Giacobbe: respingendo la fragile gioia del tripudio coloristico e figurativo, come l'agnostico nichilismo di una scrittura minimale che azzera l'emozione, il dato sensibile, egli cerca un difficile equilibrio. Le sue tele vogliono essere punto di incontro tra il corpo fenomenico della realtà, adombrato nell'utilizzo di una gamma cromatica vigorosa e pastosa ed il suo scheletro noumenico, la cui inconoscibilità ribadiscono quei rari segni disseminati lungo il percorso della tela, simulacri che alludono, senza chiarire. Nato nel 1966 a Venezia, egli vive e lavora a Firenze: nella sua vita sono due capitali dell'arte classica, il cui mirabile, quasi ingombrante portato di perfezione, mescolato alla vita di tutti i giorni, è stato metabolizzato al punto da risultare mimetizzato, ma non assente. Infatti solidi ormeggi hanno finora assicurato l'avventura di Giacobbe nel mare aperto della pittura; iscritto all'Accademia di Belle Arti di Firenze, nel 1988 ha conseguito il Diploma in Scultura; nel 1992 il Diploma in Pittura. In altre parole: chi è padrone della tecnica può permettersi di eluderla. Ciò non toglie che molti fingano, oggi, di eludere le conoscenze che, anche volendo, non potrebbero mostrare, perchè non le possiedono. È il rischio che corre chi, come Giacobbe, come tanti prima di lui, ha scelto di percorrere la strada dell'astrazione. Se con Licini "l apittura è un'arte irrazionale, con predominio di fantasia e immaginazione, cioè poesia", se è necessario il deragliamento dei sensi, della ragione, per cogliere quello che è oltre, ecco che qualsiasi "oltre", pericolosamente, potrebbe trovare una ragione di essere in sè stesso, senza bisogno di riconoscersi in un canone: bello o brutto, buono o cattivo non importa. Per questo la scelta di Giacobbe è coraggiosa: perchè pur possedendo un canone, quello della tradizione figurativa e potendovi specchiare le proprie opere, egli ha preferito prendere il largo. Permettendosi la retorica della forma, ha falciato il suo lessico pittorico, riducendolo a un alfabeto essenziale, dove colore e segno bastano a far vibrare lo spazio, serbando la grumosità della terra, ma anche aprendosi alla vertigine del cielo. Claudio Cerritelli ammonisce: "l'astratto è un evento che non lusinga l'occhio, ma chiede il conforto dell'intelligenza; eppure nei quadri astratti di Luca Giacobbe, come in quelli di Valentino Vago, di Alessandro Gamba, di altri giovani astrattisti di oggi, che a lui si avvicinano, l'uso critico dell'intelligenza, necessario a capire, viene comunque dopo la naturale emozione ch fa, prima di tutto, percepire il quadro come un organismo vivente, anche se non possiede finestre spalancate sulla realtà. (Beatrice Menozzi) |
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Galleria Fotografica |
Luca Giacobbe, Posto umido, olio su tela, cm 100x100, 1997. |
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Luca Giacobbe, Posto umido, olio su tela, cm 100x100, 1997. |
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Luca Giacobbe, Ripensando lo spazio, olio su juta, cm 54x64, 1997. |
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Luca Giacobbe, Ripensando lo spazio, olio su juta, cm 54x64, 1997. |
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Luca Giacobbe, Vinile, olio su juta, cm 120x130, 1996. |
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Luca Giacobbe, Vinile, olio su juta, cm 120x130, 1996. |
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