Giuseppe Cacciatore CSArt
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L'arte come mestiere
Manlio Gaddi

Colpisce subito la capacità operativa a livello artigianale, quale conoscenza profonda del mestiere intesa come appropriazione di tecniche, strumenti, materiali, ovvero (di) tutte quelle informazioni e nozioni che consentono il ‘saper fare’ nel campo dell’arte. In seconda battuta si apprezza il mestiere vale a dire il saper realizzare, attraverso diversi strumenti, idee e pensieri comunicabili solo otticamente. Cioè nel dare a questi una forma che sia reale, che possa agire sulle nostre capacità ricettive attraverso l’occhio. Svolgendo il suo mestiere, Cacciatore ha ampliato il significato della parola ‘pittura’ portandola a ‘formazione di immagini’. Tali immagini possono essere sia quelle della pittura intesa in senso tradizionale, cioè la pittura fatta con i colori ed i pennelli, sia quelle che vengono prodotte con gli strumenti che la scienza e la tecnica mettono a disposizione del ‘fabbricatore di immagini’. 
Quindi il mestiere diviene un modo per contribuire alla costruzione, tramite le opere, di un discorso valido per tutti, con delle immagini lineari, semplici, basate su elementi facilmente identificabili che possano stimolare emozioni nell’osservatore senza vincolarlo a suggestioni preordinate; cioè che non costringe a subire le emozioni dell’artista, ma che ciascuno secondo la sua capacità, sensibilità, e preparazione culturale riesce a percepire e a gioire per quello che può intendere del messaggio dell’artista.
Quindi il ‘mestiere’ come ricerca, vale a dire l’articolazione di un medesimo pensiero secondo i differenti modi di comunicazione e perciò di lettura dell’immagine, utilizzando, come detto, tutte le risorse delle varie tecnologie.
Dalle sue prime sperimentazioni figurative, degli inizi degli anni novanta del secolo scorso, alle attuali geometrie colorate, il percorso è lineare nell’ordine, dichiarato dall’artista, “di un medesimo pensiero secondo i differenti modi di comunicazione”. Ne deriva pertanto nell’ultimo periodo una formazione di immagini contraddistinta da una combinatoria di forme semplici (figurazioni geometriche), strutturantesi per eterodossia di varianti suggerite dall’impiego dei vari materiali (tela, olio, acrilico, stucco, sabbia, cartone), fino a costituire un armonico rapporto di segni che si aggrega nel momento della messa in opera. 
Questo permette un coinvolgimento fisico e mentale, sia da parte dell’artista che del fruitore dell’opera, e permette di identificare negli oggetti della ricerca dell’artista i contenuti del suo pensiero. 
In altri termini, richiamandosi alla psicologia delle forme, Cacciatore concepisce la formazione di immagini come Cacciatore 10un’articolazione di elementi componibili, per relazioni analogiche oppure simboliche, conseguenti al linguaggio della comunicazione visiva. 
Per un artigiano fabbricatore di immagini, come Giuseppe Cacciatore, il problema del linguaggio è comprensibile nella ricerca, meglio nel mestiere come ricerca, che informa in progress la poetica dell’immagine, rigorosamente puntualizzata attraverso il rapporto delle forme. Forme che visualizzano le ragioni epistemologiche del discorso, geometricamente scandito nella campitura spaziale delle linee rette e spezzate alle curve, in ordine simmetrico oppure asimmetrico, secondo la dinamica degli svolgimenti costruttivi che caratterizzano la formazione dell’immagine. Immagine solida di un pensiero astratto, come realizzazione dell’essere sulla tela dell’opera. 
Così la morfologia dell’immagine acquista una proprietà reale, autonoma, visivamente traducibile in messaggio per analogie significanti.
D’altra parte, come scrive Wassily Kandinsky  in Punto Linea Superficie (Adelphi, Milano, 1968), “… Si può osservare la strada stando dietro il vetro della finestra …Oppure si apre la porta: si esce dall’isolamento …”
Alcuni hanno definito questa tipologia di opere “archipitture” per consonanza strutturale con i progetti minimali dell’architettura. Un’architettura traslata, evidentemente, anche ipotizzata dall’immaginazione utopica. Ma è forse in questa chiave di lettura dell’immagine che possiamo sperare nell’avvento dell’utopia quasi fosse l’altra faccia della realtà, rispecchiante per Cacciatore negli oggetti della sua ricerca: i suoi ed i nostri “contenuti di pensiero”.
Come scrive Maurice Merleau-Ponty nel suo saggio, e testamento spirituale, L’occhio e lo spirito (1960) «L’arte non è costruzione, artifici, rapporto industrioso con uno spazio e un mondo esterni. È davvero il “grido inarticolato che sembra la voce della luce” di cui parla Ermete Trismegisto. E, una volta là, risveglia nella visione comune potenzialità dormienti, un segreto di preesistenza»
Certo, dobbiamo imparare a leggere, a interpretare, a estrarre i dati sensibili dai dati oggettivi.
Anche un semplice quadrato, anche un rettangolo, può vibrare, può essere vitale, può superare la sua natura essenzialmente geometrica e caricarsi d’impulsi e di tensioni che lo traducono in elemento autonomo, vivente.
L’opera di Giuseppe Cacciatore muta senza sosta, è un progetto che cambia, o meglio si aggiorna, si modifica, si amplifica trovando di volta in volta strade diverse per raggiungere il limite che unisce rappresentazione e dissolvimento.
In senso metaforico riportando il discorso sulle strutture geometriche di Cacciatore, dobbiamo operare dei progressivi spostamenti: a seconda del punto di osservazione, frontale o laterale, vediamo che i rilievi, dovuti sia alla pittura che all’inserimento di strutture esterne in cartone, sembrano assorbire e ritrasmettere la luce spiovente sul colore, ondeggiando lievi ombre cadenzate come riverberi di quel doppio che percorre lo spazio-superficie in sintonia con i segni dei tracciati.
Ma è un dato di fatto che in questa sua ultima stagione l’artista si è liberato tanto dall’esuberanza cromatica d’una sua più antica fase figurativa per evolvere in una soluzione dove Il colore è trattato secondo la sua natura di «materia-luce-energia», e dal suo connubio con la luminosità atmosferica acquista vita e vigore, e dove il pensiero non è mai staccato dal colore.
Oggi Cacciatore pare avere finalmente trovato quella che sembra la via maestra per il suo sviluppo pittorico: quella d’una calibrata stesura di forme astratto-geometrico, quasi tutte redatte con l’uso di colori acrilici, stesi con amorevole cura su ampie tele a grana sottile.
All’interno di questa tutt’altro che scarna possibilità compositiva -dove dominano il quadrato, il rettangolo, e raramente appare la sagoma del triangolo- si nota subito la presenza d’un elemento vitalizzante e vivificatore, che nasce dalle qualità molto peculiari del colore, e da certe nuove e inattese aperture della forma.
Forse, attraverso il mestiere dell’arte, la ricerca di segni personali, importanti, che l’artista cerca di trasmettere ai visitatori, consiste nella pratica immaginante della vita. 
Come immagine “concreta” della realtà.
Anche perché, citando Kazimir S. Malevic, “La realtà pratica delle cose non è reale”.


Testo scritto da Manlio Gaddi in occasione della mostra L'arte come mestiere, Arte Paolo Maffei, Padova, 2016-2017. Catalogo completo scaricabile online.

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