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Corrado Moscardini. Immagini di un tempo sospeso
Massimo Mussini

Il lavoro di Corrado Moscardini segue due filoni diversi eppure equivalenti.  Ad una serie di immagini dedicate all'architettura se ne affianca una seconda in cui protagoniste sono le sculture. In entrambe, infine, un ruolo importante viene assegnato al paesaggio, che talora è esplicitamente presente e talora soltanto evocato dall'oscuro, indefinito fondale. Un ultimo aspetto emerge evidente a contrassegnare questa serie di fotografie, ed è la scelta tecnica, la decisione cioè di utilizzare un particolare procedimento di ripresa inteso come strumento atto a connotare linguisticamente l'immagine. Il che significa che il procedimento fotografico adottato riveste le funzione di restituirci una interpretazione personale della realtà esterna e non semplicemente di trascriverla in maniera più o meno realistica. L'uso della pellicola in bianco e nero sensibile ai raggi infrarossi, infatti, è stato scelto in quanto trasforma la realtà vista dall'occhio in una immagine surreale, cioè che va al di là della realtà fenomenica e diviene puramente fantastica. La fotografia, come si sa, è nata allo scopo di registrare la realtà il più fedelmente possibile, il che equivale a dire: nel modo meglio corrispondente alle nostre abitudini visive. Alla fotografia è consentito anche di registrare ciò che l'occhio non è in grado di percepire, perché troppo veloce oppure perché celato da fenomeni fisici, ma che è comunque concretamente esistente. Il fisicamente esistente, invece, non è accessibile direttamente alla conoscenza fotografica, ma soltanto a quella dell'immaginazione. Lo sforzo dei fotografi per usare il mezzo fotografico come uno strumento capace di corrispondere alla facoltà immaginativa si può far risalire all'origine della sua storia ed ha conosciuto infinite soluzioni nel tentativo di raggiungere lo scopo.  Quella scelta da Moscardini viene a corrispondere molto bene alla sua intenzione di rivelarci una dimensione sospesa nel tempo, una situazione esistenziale non identificabile con alcuna precisa realtà, né di spazio né di momento. Questo significa che Moscardini non si è posto a fotografare con l'intenzione di mostrarci (e farci perciò riconoscere) determinati luoghi e determinate situazioni esistenziali, ma piuttosto di farci intendere come quei luoghi e quelle situazioni abbiano agito sulla sua immaginazione. Di mostrarci, cioè, non la realtà esterna, ma quella interna, quella che è difficile raccontare anche con le parole. E di mostrarcela, per giunta, non attraverso artifici di camera oscura quali ad esempio i fotomontaggi, ma con l'uso diretto della fotocamera. Ecco allora che l'effetto di forte contrasto, di inscurimento, di lieve indefinitezza prodotto dalla pellicola all'infrarosso viene abilmente associato alla scelta dei soggetti, dei tagli di ripresa, delle diverse focali degli obiettivi allo scopo di trasformare una esposizione di sculture o una serie di paesaggi in una inquietante rassegna di personaggi, in luoghi silenziosi e misteriosi che per analogia possono farci tornare alla mente, se vogliamo, le invenzioni surrealiste di De Chirico, anche se rispetto ad esse si rivelano completamente autonome. L'analogia sta infatti nell'intenzione di rappresentare non tanto luoghi fisici reali, ma realtà esistenti soltanto nell'immaginazione; la differenza risiede negli strumenti utilizzati a produrre le immagini che non consentono, da un lato, di pensare ad una possibile coincidenza fra linguaggio pittorico e fotografico e, dall'altro, permettono di cogliere come anche la fotografia, se intelligentemente usata, sia uno strumento talmente duttile da essere in grado di dare vita ad invenzioni dense di magia emotiva.

Testo scritto in occasione della mostra Immagini di un tempo sospeso, Montecchio Emilia (RE), 1995.

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