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Paolo dei Lupi

Liberamente ispirato alla vita di Paolo Barrasso, biologo e poeta
Scritto da Francesca Camilla D’Amico
Regia Roberto Anglisani
Con Francesca Camilla D’Amico
Scene William Santoleri
Disegno luci Renato Barattucci
Foto di scena Fabrizio Giammarco
Illustrazione e grafica Filippo Mauro Motole
La canzone originale “Brother wolf” è di Hannah Fredsgaard-Jones
Produzione Bradamante Teatro
Coproduzione Florian Metateatro
Con il sostegno di
Oikos-Residenza per Artisti (Pescara, Città Sant’Angelo-PE)
Montagne Racconta (Montagne, Treville -TN)
Residenza Multidisciplinare della Bassa Sabina Terrarte 2019
(Montopoli, Poggio Mirteto, Salisano - RI)
Con il patrocinio del Parco Nazionale della Majella

In un tempo non molto lontano, nella natura selvaggia degli Appennini, di lupi ce n’erano rimasti pochi ed erano tanto affamati. Paolo, un giovane biologo, viene mandato tra quelle montagne per studiarli. Lo attendono notti all’addiaccio, sveglie all’ora dei gufi, attese e batticuori, ululati e sguardi selvatici. Dopo secoli di persecuzioni, i lupi hanno imparato l’arte del silenzio e per questo non è facile incontrarli. In paese c’è Simone, un bambino cresciuto con le storie del nonno sul lupo cattivo. Ma da quando Simone incontra Paolo non smette di pensare ai lupi e vuole conoscere la verità su di loro. La verità è nel bosco, dove la natura compie i suoi riti, dove si incontrano gli sguardi di due lupi, Fratello e Lama Bianca, dove nascono i cuccioli, nella tana sotto il grande faggio. Una minaccia si nasconde nel bosco, ha l’odore del tabacco, della caccia, di un mondo che impone il suo passo e nulla sa della natura selvaggia. Può l’Uomo restituire alla Natura quello che le è stato sottratto? Possono Umani e Lupi convivere pacificamente? Un sogno nasce allora tra le poesie di quel biologo, nell’ululato di un bambino, con il ritorno dei Cervi e dei giovani lupi che si riprendono l’Appennino. Lo spettacolo trae ispirazione dalla vita avventurosa del biologo e poeta Paolo Barrasso (Sulmona 1949 - M.Morrone 1991) che fu tra i primi a credere e ad agire, negli anni ’70, nel primo progetto per la salvaguardia del Lupo Appenninico in Italia: l’“Operazione San Francesco”, promossa dal WWF. Nello spettacolo emergono anche le difficoltà e i conflitti con i cacciatori e con gli “scettici”. Conflitti tutt’oggi non ancora superati nel nostro Paese, in termini di tutela ambientale e di convivenza con la fauna selvatica. Lo spettacolo intende sfatare miti e false convinzioni sulla figura del Lupo, per favorire la conoscenza di uno degli animali simbolo delle nostre montagne e raccontare come l’uomo possa intervenire in maniera costruttiva sui delicati equilibri dell’ecosistema. Paolo Barrasso era anche un poeta, il suo amore per la natura lo aveva portato a volerla raccontare per farne conoscere le meraviglie e i segreti. Al rigore dello scienziato univa le qualità dal sognatore, dedicando tutta la sua vita alla montagne, per ripristinare gli equilibri turbati dall’uomo attraverso progetti di grande importanza che resero possibile il ritorno dei lupi sull’Appennino e la ricostruzione della sua catena alimentare con la reintroduzione di cervi e caprioli (che l’attività venatoria incontrollata aveva sterminato), la reintroduzione della lontra, la creazione di una banca genetica del lupo e la ricerca per la vaccinazione delle volpi affette dalla rabbia silvestre. Paolo Barrasso diede vita, negli anni ‘80, al primo museo archeologico e naturalistico in Abruzzo, oggi a lui intitolato, a Caramanico Terme. Lavorò instancabilmente per vedere la Majella, la montagna che aveva tanto amato, finalmente protetta. Perse la vita, poco prima di vedere il suo sogno realizzato, in un tragico incidente sul Monte Morrone, mentre era sulle tracce degli orsi. Ma dove Paolo è passato, è tornata la vita...
(Fascia d’età “pour tout public” a partire dagli 8 anni, tecnica utilizzata Teatro di Narrazione e Installazione Artistica, durata 60)

Per “Paolo dei Lupi” William Santoleri ha realizzato una faggeta con lamiera di ferro ossidata e zincata e filo di ferro cotto. Il colore del materiale ricorda la corteccia dei faggi. Un colore caldo ed espressivo nonostante si tratti di metallo. Con il filo di ferro cotto William gioca come se avesse una matita, disegna il contorno dei faggi come se si trattasse dei segni di un chiaroscuro. Non una semplice scenografia ma un’opera d’arte che è il risultato di migliaia di alberi visti, sognati, ricordati, disegnati. Un ricordo di boschi visti e attraversati, gli stessi nei quali si muoveva Paolo Barrasso, dove passano ancora oggi i lupi con i loro sentieri. Il faggio viene qui semplificato al massimo, proprio come accade nei ricordi, dove restano idee sintetiche di ciò che ci è rimasto dentro. Così basta una linea per evocare un albero o un bosco. Il lavoro artistico di William richiama una speranza: quella di poter vedere ancora boschi e di vederli crescere. Uno sguardo verso i boschi del futuro, quelli che piano piano stanno crescendo, che potranno essere attraversati ancora da altre persone, da altri animali, altri studiosi e artisti… Il personaggio del bambino Simone in “Paolo dei Lupi” è ispirato ai ricordi di infanzia di William che ha imparato da Paolo l’amore e il rispetto per la natura.

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