William Santoleri CSArt
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Misteriosi Alberi
Giuseppe Martini

Commentavamo in queste stesse pagine poco più di un paio di anni fa il lavoro di Massimiliano William Santoleri, incentrato su una land-art in cui dominavano alti fusti di alberi di cui non si intravedevano radici o cime, sforando oltre l'inquadratura, e sui quali calava una luce innaturale che li proiettava fuori dal tempo umano. E infatti la presenza umana sembrava bandita da quei luoghi: silenziosi abitatori di un pianeta a parte, quegli alberi rifiutavano l'ospite umano oppure l'ospite umano se ne teneva cautamente distante e quando appariva sembrava, più che esistere, cercare qualcosa di nuovo in quell'universo misterioso.
Da un anno Santoleri, nato nel 1971 in provincia di Chieti, ha preso studio in borgo Bernabei a Parma, dopo aver esposto da Fiaccadori, Feltrinelli, S. Andrea, ad Arte Fiera di Reggio Emilia, e poi ha approfondito la sua ricerca su questi alberi misteriosi, nata a inizio degli anni Novanta, dopo l'argento ottenuto nel 1996 al Premio Arte Mondadori. Questa mostra alla Libreria Musidora di strada Inzani a Parma (libreria per lettori di qualità: da saccheggiare) mostra il percorso di questa ricerca, dagli alberi blu fosforescenti in una calda atmosfera scarlatta (l'opera del Premio Arte) fino al dipinto che ha vinto la targa come artista segnalato al Premio Internazionale d'Arte SS 325 di Vernio lo scorso anno. Siano fusti snelli e oscuri in un paesaggio nevoso, talvolta crepitanti come piovessero, ai fusti regolari che radicalizzano il contrasto cromatico, il percorso pare convergere da un gioco di ambientazioni emotive a un esercizio per la vista, ai limiti dell'ipnosi: catturano nel loro mondo ormai non per volontà ma per forza irrazionale. Anzi la tecnica si fa messaggio, quando con un gioco di tratti incrociati Santoleri crea l'effetto di una corteccia aspra e algida, ottiene il suo scopo di vincersi con la totale astrazione mascherata da oggetto. Racchiusi in spazi vitrei, talvolta liquescenti o prelogici, questi alberi valicano lentamente se stessi, e quando si fanno cilindri opalescenti, in grado di riflettere un solo fascio di luce e sbriciolandosi a contatto con una materia liquida, sembra di rimanere feriti da una fragilità tutta umana. E dev'essere così: il dipinto si intitola "L'uomo e il suo doppio", e non è escluso che l'umanità sia non più ospite o inospite ma solamente inquietabte allusione di un simbolo.

Testo tratto da "Il Caffè del Teatro", n. 106, maggio 2006, p. 61.
Testo scritto in occasione della mostra: Alberi, Libreria Musidora, a cura di D. Sicuri, Parma, 2006.

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